Il cellulare fa male...
La notizia ha fatto in poche ore il giro del mondo. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha inserito i cellulari e in generale i campi elettromagnetici a radiofrequenza (wireless) nel “Gruppo 2B” che indica un possibile rischio cancerogeno sugli esseri umani. I telefoni cellulari e gli altri apparati wireless potrebbero essere, insomma, un fattore importante del notevole incremento di tumori cerebrali che si stà verificando negli ultimi anni in tutto il mondo. E a dirlo non sono, questa volta, singoli scienziati (alcuni ricercatori di livello internazionale lo sostengono da anni) ma la principale agenzia internazionale di ricerca sul cancro, legata all’Organizzazione Mondiale della Sanità. O meglio 31 scienziati di 14 Paesi riuniti appositamente dalla IARC per una settimana. Alla fine di questa full immersion il chairman del workshop IARC, Jonathan Samet, della University of Southern California, ha dichiarato che «le prove che si vanno accumulando siano ormai sufficienti a motivare l’inclusione delle radiofrequenze elettromagnetiche tra gli agenti classificati come 2B, cioè appunto come possibili cancerogeni». Si tratta di una notizia destinata a suscitare accese discussioni e polemiche. Di una notizia attesa e auspicata da molti, temuta da altri. Come tutte le notizie che riguardano i rischi per la salute nostra e dei nostri figli, legati ad un inquinamento ambientale sempre più diffuso, e sempre più invisibile. La classificazione di “possibili cancerogeni” è stato dato in relazione all’incremento di rischio per due particolari tipi di tumore cerebrale: gliomi e neurinomi acustico. Al di là delle opinioni e delle chiacchiere più o meno fondate, basterebbe ricordare che la stessa IARC nelle sue definizioni conclude in questi termini: un agente può essere classificato come “possibile cancerogeno” anche in assenza di dati di carcinogenicità certa, sulla base di una forte evidenza di dati pertinenti e di meccanismi patogenetici plausibili. E molti dei ricercatori che ancora negano la plausibilità biologica dei rischi cancerogeni connessi alle cosiddette piccole dosi di radiazioni non ionizzanti (parte dei raggi ultravioletti, microonde, radiofrequenze, raggi infrarossi e raggi laser) e persino di quelle ionizzanti (quelle legate a decadimento radioattivo o a fissione nucleare) mostrano di non conoscere la recente letteratura scientifica che da almeno un decennio ha dimostrato come il maggior pericolo per miliardi di esseri umani derivi proprio dalla esposizione quotidiana a quantità minime, ma sempre più significative, di radiazioni ionizzanti e non-ionizzanti e di molecole xeno-biotiche che hanno, in ultima analisi lo stesso “bersaglio”: il DNA e le altre biomolecole complesse. Ecco perché il dibattito sui rischi di un aumento considerevole di tumori cerebrali da esposizione prolungata a cellulari e cordless (sarebbe importante sottolineare come questi ultimi siano almeno altrettanto pericolosi dei cellulari: dato trascurato da molti ricercatori) era in corso da almeno un decennio. Da un lato si citavano gli studi epidemiologici importanti e certamente indipendenti del prof. Hardell del Dipartimento di Oncologia dell’Università svedese di Orebro, che ha documentato un incremento rilevante di patologie neoplastiche in soggetti lungamente esposti e chiesto l’immediata applicazione del Principio di Precauzione, specie nei confronti dei bambini, che rischiano di essere esposti per decenni. Dall’altro ci si trincerava dietro alle conclusioni, tutto sommato rassicuranti, di alcuni grandi programmi di ricerca come il Progetto Interphone, che ha coinvolto ricercatori di 13 Paesi, ma criticato da numerosi studiosi (tra i primi in Italia il prof. Levis, già ordinario di mutagenesi presso l’Univer- sità di Padova e membro autorevole del Comitato Scientifico Isde Italia) perché inse risce (incredibilmente) tra gli “esposti” soggetti che usano il cellulare «almeno una volta alla settimana per almeno 6 mesi » (il che vuol dire quasi mai!); perché meno del 5% dei soggetti esaminati ha maturato 10 anni di latenza o di uso continuato dei cellulari; per la mancata identificazione dei tumori omo-laterali, cioè sviluppatisi sul lato della testa abitualmente usato per telefonare.